Il Parma torna in serie B: Il lavoro di Roberto D’Aversa

Appena due anni fa il crack che aveva posto fine alla storia gloriosa di un club che negli anni 90 vinceva in Italia e in Europa. Una squadra che in bacheca contava una coppa delle Coppe, due coppe UEFA, tre coppe Italia e una Supercoppa europea e una Supercoppa Italiana.

Poi la rinascita quando, il 27 luglio 2015, viene fondata una nuova società (SSD Parma Calcio 1913) rappresentata da imprenditori come Barilla e iscritta al campionato di serie D. Da lì, due promozioni in due anni fino alla riconquista della serie B appena pochi giorni fa, dopo aver vinto i playoff di LegaPro culminati con il 2-0 rifilato all’Alessandria nella finale di Firenze.

Una vittoria annunciata? Per niente. Basi pensare a quanto tempo ci ha messo un club come il Benevento per uscire dal pantano della terza serie italiana o al Lecce (altra ex grande decaduta) che da cinque stagioni sta tentando (invano finora) il ritorno nel calcio che conta.

Una rincorsa alla serie B che non era cominciata bene tanto è vero che, nello scorso novembre, la società aveva provveduto ad un inatteso ribaltone tecnico: via il presidente Nevio Scala (ex allenatore dei parmensi nei gloriosi anni 90), via Lorenzo Minotti, via l’allenatore Luigi Apolloni (ex gloria crociata ed ex nazionale ai mondiali di USA 94).

Spazzato via il ciclo degli ex, avanti con i nuovi. Società affidata al nuovo d.s. Daniele Faggiano, squadra in mano a Roberto D’Aversa dopo un breve interregno col tecnico della Primavera Stefano Morrone.

Cambi criticati da molti ma che hanno dato subito i loro frutti con il nuovo d.s. bravo a lavorare dietro le quinte e con il nuovo allenatore che, presa la squadra a -7 dalla vetta (dove stazionavano Reggiana e Pordenone), inanella subito una serie di quattro vittorie e un pari riportando i gialloblù a ridosso della zona promozione diretta.

Da lì è partito un crescendo rossiniano che ha portato il Parma prima ai playoff e, poi, alla promozione in serie B.

Roberto D’Aversa

“contro una squadra abile nelle ripartenze è preferibile un atteggiamento di attesa, contro una squadra che predilige il palleggio bisogna curare molto il pressing”.

Roberto D’Aversa

Ex centrocampista, classe 1975, un passato anche in serie A con Siena e Messina, D’Aversa è stato in passato allenatore della Virtus Lanciano, condotta alla salvezza in serie B nel 2015.

Dopo che il Parma aveva iniziato la stagione con il 3-5-2 di Apolloni, D’Aversa ha impostato la squadra con un 4-3-3 (intravisto col predecessore) alternandolo al 3-5-2.

Il mercato di gennaio, sapientemente orchestrato da Faggiano, ha poi portato in dote a D’Aversa giocatori rivelatisi determinanti come il portiere Pierluigi Frattali (determinante nella semifinale playoff contro il Pordenone con due rigori parati [https://www.youtube.com/watch?v=xGnj1j8_MoQ]), i centrocampisti Matteo Scozzarella e Gianni Munari e l’attaccante Simone Edera.

Dal punto di vista tattico il 4-3-3 di D’Aversa non prescinde dallo studio degli avversari di turno, in base ai quali viene modellato tanto nelle proposte offensive quanto nell’atteggiamento difensivo.

In linea di massima questo tipo di sistema e di approccio (già sperimentato con successo a Lanciano) ha il suo cardine nel giocatore davanti alla difesa.

Suo compito è quello di dare equilibrio alla squadra, proteggendo la zona centrale davanti alla difesa mediante un continuo lavoro di copertura delle traiettorie al fine di rendere difficili le giocate avversarie verso le punte.

Perché questo lavoro sia efficace è necessario che il centromediano lavori con i centrali difensivi, che dovranno guidarlo nei movimenti.

I due interni di centrocampo, avendo garantita la copertura proprio dalla presenza proprio del centromediano, potranno essere aggressivi sugli interni avversari.

 

In pratica, in fase difensiva il 4-3-3 di D’Aversa diventa un 4-1-4-1 col playmaker pronto a coprire i tagli degli esterni rivali ma anche ad inserirsi nella linea difensiva qualora uno dei centrali fosse costretto a scivolare esternamente.

L’obiettivo numero uno della fase di non possesso palla diventa quello di chiudere la zona centrale, coprendo la porta. Per questo i centrali difensivi ed i centrocampisti centrali devono essere bravi a presidiare la zona centrale, ostacolando il possesso palla avversario.

La forte pressione esercitata nella fascia centrale del campo deve idealmente costringere l’avversario a giocare la palla lunga con la squadra di D’Aversa che deve essere pronta a conquistare la seconda palla e a far ripartire il contropiede.

In fase offensiva lo scopo è la creazione di spazi. I due esterni bassi non si propongono troppo alti per creare una zona libera fra loro e gli esterni d’attacco, che invece si sono alzati a livello della prima punta.

 

In questa zona libera si possono buttare gli interni di centrocampo che, con questo movimento, finiscono per ricevere palla liberi o per costringere il centrocampo avversario ad effettuare degli spostamenti che possono disequilibrarlo.

Le catene esterne quindi, elemento chiave in questo sistema, operano in modo più allungato rispetto ad un tradizionale 4-3-3.

Anche in fase di possesso palla risulta fondamentale il lavoro del play: se questi riceve palla in zona avanzata di campo, magari da un attaccante esterno, ecco che potrà ricercare la profondità sul No.9, se, invece, il play riceve palla in zona di costruzione, il suo compito è di giocare rasoterra per innescare tutti i movimenti delle catene laterali.

Foto: LaPresse/Donato Fasano

Scritto da: Michele Tossani