Il futuro a tinte giallorosse

La sconfitta dell’ Italia contro la Spagna ha riaperto vecchie ferite mai rimarginate. Il pesante 3-0 ha riportato in auge il dibattito sulla mancata crescita del sistema calcistico italiano, specialmente dal punto di vista tattico e tecnico. Altre nazionali come appunto la Spagna, la Francia, l’ Inghilterra e la Germania sembrano aver costruito sulle macerie e rivoluzionato le precedenti – errate – convinzioni. La FIGC, senza particolare aiuto da parte dei club, non si è mai interessata granché al problema stadi, all’ effettiva preparazione degli allenatori ed all’ assenza di strutture e di opportunità per i giocatori più giovani. Proprio su questo punto Andrés Iniesta, nel post-gara, ha rincarato la dose, che la sostanziale differenza tra Italia e Spagna è culturale, di approccio all’ evento sportivo, di priorità ed obiettivi. Ai ragazzini spagnoli, una volta tornati a casa dopo una partita, viene chiesto se si son divertiti, mentre in Italia è la vittoria l’elemento fondamentale.

Di questo e di molto altro ho chiesto a Luca Angeli, 22enne laureando in Scienze Motorie. Sin da piccolo ha calcato i campi della periferia romana per inseguire il sogno di diventare allenatore, collaborando la scorsa stagione con il settore giovanile dell’ AS Roma.

  • Qual è stata la tua prima impressione una volta arrivato al centro tecnico giallorosso?

Che dire, ho subito avuto un’ottima impressione. Il centro olimpico Giulio Onesti è un piccolo paradiso per ogni amante dello sport e la sezione dedicata all’A.S. Roma è curata nei minimi dettagli. Per le prime settimane ho svolto per lo più un lavoro di osservazione, per poi scendere più nel dettaglio, coadiuvando gli altri mister nello svolgimento della seduta. Lavorare, seppur con bambini, di questo livello mi ha sicuramente fatto crescere tanto. Una cosa che mi è saltata subito all’occhio è stata la precisione e la consapevolezza da parte di tutti i bambini di essere dei “privilegiati”, nel senso buono del termine.

Sono stati subito inseriti in un progetto non solo tecnico e tattico ma anche di formazione del ragazzo prima che del giocatore. Per fare qualche esempio: bambini con un taglio di capelli troppo eccentrico venivano invitati ad uno standard più consono, eventuali orecchini venivano rimossi, per una questione di sicurezza in primis, ma anche per “decoro”, prima di entrare in campo per l’allenamento ogni ragazzo doveva avere la maglia nei pantaloncini, i calzettoni tirati su e gli scarpini allacciati. Sono piccole cose, ma credo che l’insieme di queste possano fare la differenza.

  • Gli esperti imputano al sistema italiano di prediligere quasi solamente la tattica mentre all’ estero è la parte della tecnica individuale che viene maggiormente curata. La Roma in questo panorama dov’è più giusto collocarla?

Io la collocherei proprio dove secondo me dovrebbe stare idealmente, al centro. Da quando ho 15 anni giro per campi di calcio, con l’idea di stare seduto in panchina e mai come alla Roma ho visto una cura dei dettagli quasi ossessiva. Dal punto di vista tattico, lo staff con il quale ho lavorato insisteva continuamente su concetti spesso complessi e già specializzati per ruolo. Ho seguito e diretto stazioni che uomini e ragazzi che giocano in categoria non riuscirebbero a svolgere con la precisione che avevano quei bambini. Attaccanti che venivano istruiti sul modo in cui ricevere il pallone, con due o tre soluzioni di possibile sviluppo (attacco al primo palo, scarico al centrocampista, apertura sulle ali), centrocampisti che dovevano muoversi nel modo corretto per ricevere il pallone smarcati (movimenti a mezza luna, contro-movimenti per smarcarsi dall’avversario), difensori che venivano ripresi nell’ 1vs1, 2vs1, 3vs2 (posizione del corpo diagonale, piede perno per girarsi velocemente in caso di cambio di direzione, coesione col compagno di reparto ‘uno che esce uno che marca’). Sulla tecnica individuale invece ho trovato però, a mio avviso, piccole carenze, ampiamente recuperabili. Molto spesso ci si ritrovava a fare dei lavori di tecnica individuale uniti a del potenziamento muscolare, purtroppo però a volte trascurando delle abilità di base che è bene che i bambini apprendano, a favore magari dell’insegnamento di dribbling e skills, in realtà poco utili ai fini del gioco.

  • Cosa ne pensi delle parole di Iniesta sulla pressione a cui i bambini vengono sottoposti da parte dei genitori?

Paolo Pulici disse che la migliore squadra da allenare è quella composta da orfani, paradossalmente è proprio così. Sopratutto a livello giovanile, il ragazzo, deve essere lasciato “libero” di esprimere ciò che ha dentro, ma sopratutto deve essere trattato come un giovane ragazzo che si affaccia al mondo. Per quanto sia bello, il calcio non è la strada di tutti, una buona scuola calcio (ma il concetto è applicabile a tutti gli sport), dovrebbe formare dei cittadini, prima che dei giocatori, perché delle centinaia di migliaia di bambini che in Italia si affacciano al calcio, forse mille di loro arriveranno a livelli discreti. Se capissimo tutti questo, sono certo che il movimento italiano giovanile ne gioverebbe, sarebbe meno isterico e frenetico.

  • Tornando alle cose di casa Roma, in prima squadra solo Florenzi, De Rossi e il nuovo acquisto Pellegrini vengono dal settore giovanile. La società non crede più nei propri figli? Eppure in Serie A ce ne sono parecchi di giocatori nati e cresciuti in giallorosso.

Questa domanda forse esula un po’ quelle che sono le mie conoscenze. In generale ritengo che moltissime società di Serie A siano quasi “costrette” a lasciare poco spazio ai giovani nostrani. Sopratutto quelle che lottano per posizioni di lusso, come può essere appunto la Roma, il Napoli o la Juve, che ultimamente sono state le top three. Credo che questa costrizione derivi anche dal fatto che c’è la brutta tendenza qui in Italia di dare giudizi molto affrettati, in positivo quanto in negativo. Vivendo a Roma sento moltissimo queste “vibrazioni” e credo che queste contribuiscano a tenere “nascosti” ragazzi che potrebbero ben figurare. Un esempio lampante potrebbe essere quello di Ciciretti, di fatto tesserato Roma che non solo non ha mai chiuso per un esterno destro di qualità, ma anzi ha acquistato il giovane Under a caro prezzo, chiudendo le porte al giovane di Acilia. Credo che il giusto compromesso sia un po’ più di coraggio da parte delle società unito a un pelo di buonsenso in più, che dovrebbe essere eccitato di veder esordire un giovane, piuttosto che lamentarsi di pagare 25€ per ‘vede giocà Verre’.

  • Prima di questa esperienza alla Roma hai lavorata alla Totti Soccer School, avendo l’ opportunità di conoscere capitan Francesco Totti e di allenare il figlio Christian. Che tipo di persona è l’ ex capitano della Roma e come lo vedi nelle vesti di dirigente?

Una persona veramente meravigliosa, per quel poco che ho visto. Il mio primo incontro con lui risale al mio primo anno alla Totti Soccer School, festa di inaugurazione, lui entra in campo, nel lato riservato ai mister (che lo salutano tutti con venerazione), mi guarda e mi fa: “Piacere Francesco, ma te me sa che hai sbagliato lato che i giocatori stanno dall’altra parte” e giù a ridere. Christian è la fotocopia del padre, fisicamente ma sopratutto caratterialmente, un bonaccione, simpatico ma timidissimo.

Sul ruolo da dirigente penso che Francesco possa occupare e riempire un vuoto che ritengo piuttosto importante. Può essere il tramite tra dirigenza (forse sempre un po’ troppo assente) e lo spogliatoio, coadiuvato da una grande figura come il Ds Monchi. Personalmente ritengo che però prima o poi vorrà anche cimentarsi come allenatore, è un genio del calcio, penso che riuscirà anche in quello.

Scritto da: Massimiliano Iollo

Foto: AS Roma website