I cinque modi in cui Spalletti ha cambiato l’Inter

Luciano Spalletti è un tecnico complesso, mai banale, ed è riuscito a cambiare molte cose dal suo arrivo a Milano. Un ritratto dei punti che ha dovuto ritoccare maggiormente.

Lo spazio

Il cambiamento più evidente dell’Inter è il rapporto che i giocatori stanno instaurando con lo spazio in campo. La scorsa stagione, Frank De Boer e Stefano Pioli avevano obbligato – per ragioni diverse e con obiettivi diversissimi – una compressione del rettangolo di gioco. L’olandese, fedele alla tradizione oranje, cercava il fraseggio stretto, l’accostamento tecnico e il dialogo rapido; solo nell’ultima parte della sua sfortunata parentesi aveva cercato di tenere larghi ed alti gli esterni, per fornire sfoghi alla manovra. Pioli forzava la squadra con un blocco basso, le linee strette e le maglie chiuse: una soluzione mal digerita dai calciatori, che sul finire dell’anno sono crollati.

Spalletti no, lui vuole amplificare le distanze. Mutuando concetti dalla prima Juventus di Antonio Conte (e da altri prima del leccese), chiede ai difensori una circolazione bassa che non vuole costruire gioco direttamente, ma piuttosto portare i presupposti per farlo. Spalletti obbliga i difensori a una circolazione bassa che attiri il pressing avversario: dilatando a dismisura le proprie maglie, il primo palleggio invita gli avversari ad un facile pressing. Qui, invece, scatta la trappola con rapide e codificate giocate in verticale, per il trequartista (generalmente Borja Valero) e/o le ali (di solito Candreva). Dopo questa fase preparatoria, l’Inter può attaccare in spazi larghi: perché riesce a crearne i presupposti e perché ha giocatori in grado di interpretarli.

Cruijff diceva che il possesso palla serve a rinforzare la propria struttura posizionale a disfare quella avversaria. Quest’ultima parte deve aver fatto breccia in Spalletti, perché è proprio l’obiettivo a cui tende la nuova organizzazione spaziale dell’Inter.

Il tempo

Direttamento legato allo spazio, anche il tempo della manovra è cambiato, si è arricchito di sfumature ed è diventato multidimensionale. La frenesia del recente passato è stata accantonata, in favore di fasi più ragionate. Addirittura, l’Inter – contro la Roma ad esempio – ha dato l’impressione di saper gestire meglio le fasi dell’incontro, piegarle e plasmarle. Sa quando rallentare il ritmo, quando accelerare, e addirittura quando far rallentare gli avversari. Alcuni avversari (leggasi Napoli) ancora possono costringere Spalletti a subire il tempo di gioco imposto al pallone, ma la gestione del tempo è una novità totale a Milano.

I ruoli  

Spalletti ha regalato ruoli certi, sicuri e monolitici ai propri giocatori. Gli equivoci tattici che avevano caratterizzato l’ultimo anno non stanno più in piedi; non esistono più casi come Banega o João Mário (che infatti non sta giocando un granché). Ognuno ha ricevuto i dettagli della posizione e soprattutto del proprio ruolo all’interno del sistema di gioco. Borja Valero sa di doversi abbassare di tanto in tanto, Vecino sa di potersi permettere sortite offensive. Ad Icardi non viene più chiesto un lavoro di sponda, sacrificio e associazione che non sa fare, gli viene consentita solo la dimensione realizzativa della fase offensiva. E i risultati si vedono.

La testa

La qualità principale dell’Inter è saper costringere gli avversari a giocare la partita voluta dal proprio tecnico. Questo è in totale controtendenza con lo sbando cui si rendeva protagonista la squadra (sin dall’ormai lontano 2011) e al contempo il cambiamento più sorprendente. Nell’immaginario collettivo dei tifosi italiano, l’Inter è “pazza”, si sa quando cominciano le partite ma non quando finiscono: non sentirete mai da un tifoso nerazzurro che la squadra ha gestito la partita, perché ogni squadra ha il proprio DNA e l’Inter, semplicemente, questa caratteristica non l’ha mai avuta.

Eppure, i giocatori sono gli stessi. Il mercato non ha regalato grosse novità, ed anzi gli acquisti erano stati tacciati di essere troppo altalenanti nelle prestazioni. Borja, Vecino e Skriniar avevano offerto alti e bassi durante l’anno scorso (e prima ancora), chi si sarebbe aspettato questo solidità mentale sin dalle prime settimane?

La comunicazione

 Spalletti non sarebbe Spalletti se non rendesse cabaret il proprio rapporto con la stampa. Che pensiate che sia studiato o meno, ogni suo intervento non è mai banale. Che siate d’accordo o meno, le sue conferenze stampa non saranno mai di semplice lettura. C’è chi ipotizza una totale spontaneità, chi ritiene tutto sia studiato (à la Mourinho), chi pensa che lui ci provi, ma che alla fine li lasci trascinare dalla foga. Ad ogni modo – purché se ne parli. Spalletti riesce in questa sua veracità a raggiungere due obiettivi: il primo è naturalmente quello di fungere da parafulmine e togliere pressioni alla squadra. La stampa sarà occupata a parlare di lui e non dei giocatori. Il secondo, è che questo atteggiamento avrà certamente ricordato ai tifosi dell’Inter il loro Mourinho. E scusate se è poco.

Foto: TuttoSport

Scritto da: Andrea Lapegna